sabato 12 luglio 2014

Le Colline del Prosecco e i Palù del Quartier del Piave - Il sostegno di Laura Panizutti di Banca Mediolanum

Colline del Prosecco



Provate a perdervi salendo una qualsiasi delle cento e più colline, rive di buona terra lavorate come da un orafo in una filigrana di vigneti ricamata su gradoni, cucuzzoli o mammelle, ricche e opulente al punto da ornarsi il capo con secolari corone, come il Castello di Credazzo, recinto merlato voluto dai Caminesi intorno a tre torri o la chiesetta di San Lorenzo appena più in basso, con gli arcani caratteri incisi sulla pietra e ancora la chiesa di San Vigilio, dal grande orologio bordato di rosso.

La curiosità del visitatore desideroso di conoscere i luoghi più caratteristici e nascosti: le case in pietra, le chiese ed i capitelli dei molti borghi rurali; le ville venete con i "broli". Quattro tratti in salita consentono di guadagnare le più modeste alture retrostanti i centri storici di Soligo, Farra e Col San Martino, segnalate dalle chiese di San Pietro e Paolo, San Lorenzo, San Vigilio e San Martino; con un ulteriore sforzo si raggiungono le torri di Credazzo, inconfondibili presenze medioevali lungo il fronte collinare più elevato, ed il "passo" tra i territori comunali di Farra e Vidor, con la salita dal Rio Bianco fino alla discesa verso Colbertaldo.


Un'altra 'chicca' per il visitatore sono i Palù.

Palù del Quartier del Piave

Il nome "pagano" di palude ancora permane dopo la "buona" e cristiana bonifica: una "regola" fatta di fossi, canali, siepi e filari.
Il percorso si svolge nell'area pianeggiante dei Palù, nel cuore del Quartier del Piave. L'importanza naturalistica e paesaggistica della zona è legata alle particolarità geologiche del suolo, di qualche metro più basso rispetto alle aree circostanti e costituito da stratificazioni argillose, quindi impermeabili.

Per tale motivo le acque della fascia collinare convogliano qui e, riemergendo nelle numerose risorgive, generano un'area paludosa, da cui deriva il nome. Questa caratteristica è stata sfruttata dall'uomo per ottenere un sistema produttivo rispettoso dell'ambiente fin dal XII secolo, quando fu eseguita una bonifica ad opera dei monaci benedettini dell'abbazia di Vidor, che trasformarono l'acquitrino in un sistema ordinato di prati e canali di drenaggio, grazie ai quali il terreno veniva regolarmente irrigato, permettendo una produttività maggiore rispetto al rimanente Quartier del Piave.
Il nome dei "campi chiusi", di cui si possono osservare degli esempi ancor oggi, deriva dalle bonifiche: gli appezzamenti erano circondati da filari di arbusti e di alberi d'alto fusto, che avevano il duplice compito di proteggere i canali dall'erosione durante le piene e i prati dall'eccessivo calore estivo, oltre che di fornire legna da ardere e materiale per la costruzione di vari utensili di lavoro.

 

La zona di Vidor e Farra di Soligo in Europa – L'intervento di Laura Panizutti di Banca Mediolanum


Lo stage di informazione sul tema 'Il paesaggio della vite e del vino', inserito nelle 24 settimane del progetto Comunicare per esistere verso Expo 2015, si è svolto all'interno della rassegna informativa
Treviso, Piccola Atene ed ha conosciuto la partecipazione di Paolo Benvenuti (Presidente dell'Itinerario Culturale del Consiglio d'Europa Iter Vitis e presidente nazionale della Associazione nazionale Città del Vino) e di Gregorio Sparacino (direttore dell'Itinerario e Presidente delle Strade del vino di Sicilia).
Per quanto riguarda la zona del prosecco, la rete dei borghi europei del gusto ha proposto la zona che va da Vidor a Soligo, quale area da candidare alla partecipazione europea, perchè ricca di storia e di spunti enogastronomici d'eccellenza.
La candidatura è stata preceduta da un intenso lavoro di visite e incontri che hanno toccato l'azienda
agricola Frozza a Colbertaldo di Vidor ( due gli incontri con la redazione della trasmissione televisiva L'Italia del Gusto) , la Macelleria Robert a Farra di Soligo ( con i suoi salumi artigianali);
il panificio Antico Forno di Caerano San Marco ; la Mic-Sar di Montebelluna ( per il cibo di strada) ; la Società Cooperativa Pedemontana San Pio X di Cavaso (per i formaggi), la Pizzeria al Gallo di Pieve di Soligo .
L'iniziativa è stata sostenuta ed appoggiata da Laura Panizutti, Family Banker di Banca Mediolanum. “Non si è trattato di una semplice sponsorizzazione – osserva Laura Panizutti -, ma di una vera e propria partnership,con interventi nel corso degli incontri e dei dibattiti, non solo per presentare i prodotti e la filosofia di Banca Mediolanum, ma per portare un contributo concreto alle tematiche affrontate. In un certo senso, gli imprenditori hanno ‘sentito’ una presenza diversa,affidabile”.
La presenza di Banca Mediolanum conferma una scelta e una vocazione del Gruppo Bancario di essere vicino alle iniziative che si svolgono nelle comunità locali, al fine di dare una visibilità sul territorio e di sostenere con convinzione le attività culturali,sportive e del tempo libero che il mondo del volontariato organizza ed esprime.

La Romagna di Giuseppe Gaspari e Alberto Paccagnella

Giuseppe Gaspari (giornalista, blogger, Palato Anarchico) e Alberto Paccagnella (Agenzia Fotogiornalistica Pac), sono gli autori delle recensioni che hanno portato il Cenacolo Terre di Romagna ad inserire  Bellaria Igea Marina, Bagnacavallo e Forimpopoli nella rete dei Borghi Europei del Gusto.
Le visite sono state realizzate rigorosamente in incognito e soltanto dopo ne è stata data comunicazione agli attori locali.
Continua dunque il cammino di Comunicare per Esistere, alla scoperta delle storie dei Piccoli Grandi Borghi italiani ed europei.

Calabria: ALTOMONTE – Borgo storico medievale -

Il Cenacolo Terre di Calabria dell'Associazione l'Altratavola ha scelto il borgo di Altomonte
per la rete dei Borghi europei del Gusto. Giuseppe Gaspari, calabrese doc e Palato Anarchico, ci presenta il borgo.

Calabria: ALTOMONTE – Borgo storico medievale -

Altomonte è un incantevole centro medioevale incastonato nel cuore della provincia cosentina. Fa parte del Club dei “Borghi più Belli d’Italia”, “Città del Pane”, “Bandiera Verde” e “Città Slow”. Situato a 496 mt.dal livello del mare, con una vista unica sui monti del Pollino, della Sila, e della piana di Sibari e del mar Jonio. Fu ricordato come Balbia già da Plinio il Vecchio (23-79 d.C.) per il famoso vino Balbino. 
Il nome Altomonte è del XIV secolo, quando con gli Angioini la contea passò ai Sangineto e poi ai Sanseverino, principi di Bisignano legati ai Ruffo di Calabria. La storia ha lasciato segni importanti, da scoprire in un itinerario che va dal moderno Teatro all’aperto (oggi sede di numerose manifestazioni internazionali che Altomonte offre al visitatore), ai vicoli medievali di spettacolare bellezza, alla chiesa di Santa Maria della Consolazione, raro esempio di arte gotica-angiona, con ampio rosone e bel portale. La Chiesa fu voluta dal conte Filippo Sangineto (cavaliere di re Roberto d’Angiò) che nel 1342-45 la fece edificare su una preesistente cappella normanna, arricchendola con opere di Simone Martini, Bernardo Daddi e della scuola di Giotto ecc. che fanno di Altomonte “un’isola d’arte del trecento toscano in Calabria”, opere che oggi sono custodite all’interno del Museo Civico situato nell’ex Convento dei Domenicani. 
Con il Complesso Monastico e la presenza dei domenicani, voluta dalla contessa Cobella Ruffo nel XV sec., la cittadina divenne centro di cultura; ospitò il filosofo Tommaso Campanella, che qui pensò la “Città del Sole”, e il novelliere Matteo Bandello. 
A pochi passi dal convento troviamo il Castello Feudale (sec. XI) di origine normanna e la Torre dei Pallotta (sec. XI), fortezza a base quadrata voluta dagli stessi Pallotta, da cui prende il nome, oggi invece sede del Museo Azzinari. Proseguendo si giunge alla chiesa di San Giacomo Apostolo, di probabile origine bizantina, l’edificio nel corso dei secoli subì diversi rifacimenti e secondo lo storico locale Francesco Rende risalirebbe all’873. 
Nella parte bassa del paese costruito a partire dal 1635, troviamo il Complesso Monastico di San Francesco di Paola, che dal 1980 ospita la Sede Municipale, considerato uno dei più bei municipi d’Italia e vi sono esposte opere di grande interesse artistico-culturale. 
La Chiesa, ultimata nel 1770, ha forme barocche, con navata unica ed abside di forma quadrata, all’interno si possono ammirare affreschi e tele di Angelo Galtieri e numerose altre opere di autori risalenti ai sec. XVIII-XIX. Infine ricordiamo il Parco comunale naturale del Farneto, area boschiva di circa 200 ettari coperta da una ricca vegetazione di farnie, erica, pioppi ed essenze di sottobosco, all’interno del quale è stato realizzato un laghetto artificiale, con impianti di pesca ed aree pic-nic e barbecue.
Ai 200.000 visitatori annui, il paese offre una realtà accgliente e qualificata con strutture moderne e organizzate, con 350 posti letto e 5000 coperti. Nel centro storico si ha la possibilità di trascorrere piacevoli vacanze in accoglienti strutture arredate. La cittadina con oltre 300 cerimonie l’anno è definita “il paese dei matrimoni”; gli sposi attratti dalla bellezza dei luoghi e dalla qualità delle strutture, provengono da ogni parte d’Italia e anche dall’estero. 
Lungo il percorso, per vie e vicoli si può acquistare di tutto, dal vino ai prodotti artigianali in argilla, legno, vimini ecc. Da ricordare le curiose cartoline in legno, gli antichi ricami, i raffinati liquori, dolci e prodotti tipici; inoltre si suggerisce di assaggiare la gastronomia locale, ovunque genuina e squisita, per la quale Altomonte è “simbolo della cucina tipica calabrese”.

Per approfondire e per i prodotti tipici e le specialità del territorio visitare il sito:


Pellegrino Artusi e Forlimpopoli

Pellegrino Artusi


L’Artusi ci ha aperto la strada per conoscere noi stessi e la nostra nazione, un cucchiaio alla volta. Ora tocca a noi prendere in mano il nostro futuro culinario. Basta aprire il libro: approfonditelo e lo scoprirete ancora pieno di sorprese.
(Massimo Bottura, ristampa anastatica prima edizione, Giunti 2011)

Pellegrino Artusi, autore de “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene“, nacque a Forlimpopoli il 4 agosto 1820, da Teresa Giunchi e Agostino. Dopo gli studi al Seminario di Bertinoro, cominciò  ad occuparsi degli affari paterni. A segnare una svolta nella vita del giovane Pellegrino e della sua famiglia fu la famosa incursione del Passatore a Forlimpopoli, il 25 gennaio 1851. Nella stessa notte in cui fece irruzione nel teatro cittadino, la banda del celebre brigante con un sotterfugio, riuscì a entrare nella casa del futuro gastronomo e fare man bassa di denaro e oggetti preziosi. Il colpo banditesco, al di là del danno economico, segnò profondamente la famiglia Artusi: Gertrude, una delle sorelle di Pellegrino, per lo spavento impazzì e fu internata in manicomio.

Nello stesso anno la famiglia Artusi lasciò Forlimpopoli e si trasferì a Firenze, dove Pellegrino, poco più che trentenne, si dedicò, con un certo successo, all’attività commerciale. Artusi continuò a vivere in Toscana dove morì nel 1911 a 91 anni, ma mantenne sempre vivi i rapporti con la città natale.

Artusi godette di una vita agiata, senza mai perdere di vista le sue passioni per la letteratura e la cucina. Quando Firenze divenne capitale (1865) Artusi cambiò casa e si ritirò a vita privata, dedicandosi a tempo pieno ai suoi interessi culturali, scrivendo prima una biografia di Foscolo e poi “Osservazioni in appendice a 30 lettere del Giusti“. Entrambi i libri furono pubblicati a sue spese, senza grande successo, quel successo che sarebbe arrivato con “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene“, pubblicato nel 1891 a spese dell’autore “pei tipi dell’editore Landi“. Prima edizione: 1.000 copie.

È lo stesso Artusi a raccontarci le peripezie della sua celebre opera nella introduzione (inserita nel 1902 nella VI edizione) che intitolò significativamente “Storia di un libro che rassomiglia alla storia della Cenerentola”: dal severo giudizio del professor Trevisan che sentenzia “Questo è un libro che avrà poco esito” all’aneddoto dei Forlimpopolesi che, avendo vinto due copie del libro in una lotteria, andarono a venderle dal tabaccaio non sapendo che farsene.
Ma il successo alla fine arrivò e fu travolgente: in vent’anni Artusi stesso ne curò 15 edizioni; nel 1931 le edizioni erano giunte a quota 32 e l’”Artusi” (ormai veniva chiamato con il nome del suo autore) era uno dei libri più letti dagli italiani, insieme a “I promessi sposi” e “Pinocchio“.

Il volume, che ancora oggi conta un grande numero di edizioni e una vastissima diffusione, raccoglie 790 ricette, dai brodi ai liquori, passando attraverso minestre, antipasti (anzi “principii”), secondi e dolci.
L’approccio è didattico (“con questo manuale pratico – scrive Artusi – basta si sappia tenere un mestolo in mano”), le ricette sono accompagnate da riflessioni e aneddoti dell’autore, che scrive con uno stile arguto.
La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” costituì un vero e proprio spartiacque nella cultura gastronomica dell’epoca. All’Artusi va il merito di aver dato dignità a quel “mosaico” di tradizioni regionali, di averlo per la prima volta pienamente valorizzato ai fini di una tradizione gastronomica “nazionale”.

La Festa Artusiana

Artusi è il cronista indiscusso di un capitolo di storia italiana fatto di conoscenza delle tradizioni alimentari: attraverso le ricette ripercorriamo lo stivale appena unificato dalle imprese garibaldine e ne conosciamo i prodotti e le ricette.
Con la Festa Artusiana, che si organizza dal 1997 ogni anno dal penultimo sabato di giugno per nove giornate consecutive, vogliamo rivivere a Forlimpopoli il gusto di ricerca dei sapori, vogliamo dissetare la curiosità di conoscere i particolari di quell’ambiente domestico spesso lasciato in disparte per la fretta del nostro quotidiano.
Desideriamo origliare le parole di chi lavora fra ortaggi profumati, carni e padelle, e trarre qualche spunto per meravigliare il nostro stesso piacere di sperimentarci ai fornelli. E poi, nella magica atmosfera di un paese che si traveste da chef, carpire ogni profumo per fissarlo nella memoria e trovarvi il nostro passato o arricchire il nostro futuro.
Il programma è ricco e le opportunità permettono ad ognuno di assaporare ciò che più è gradito al proprio palato, o di osare un assaggio di un boccone sconosciuto: cucina, musica, teatro, danza, mostre, degustazioni, mercati, premi Artusi, convegno scientifico. Ce n’è per tutti!
Vive in questa festa la sintesi di un sogno: ”casa Artusi”, l’origine del nostro percorso e la meta da raggiungere.
Alla festa Artusiana lavorano febbrilmente associazioni, singoli cittadini, volontari, dipendenti comunali che, in un comune sentire, collaborano alla costruzione di una identità cittadina, fondata sulla propria storia; una storia da condividere con chi ne approva gli scopi, all’insegna del vivere bene insieme e della convivialità.




Forlimpopoli: La città artusiana

Nel nome di Pellegrino Artusi, il centro storico di Forlimpopoli possiede e conserva con orgoglio i connotati di una città di fine ottocento – inizi del novecento. Non si tratta certo di una operazione nostalgia, o di un impossibile ritorno al passato, quanto di un recupero di valori che non devono andare dispersi, il ritrovamento di radici tuttora feconde: vivere bene insieme in una città a misura d’uomo.
I palazzi, le piazze e le vie in questi ultimi anni hanno ritrovato questo aspetto storico; gli stessi privati cittadini, nelle loro ristrutturazioni, seguendo le normative urbanistiche approvate, hanno contribuito alla realizzazione di un effetto armonico complessivo.
La città artusiana si presenta così accogliente e improntata alla convivialità. Fulcro della città artusiana è Casa Artusi, inaugurata nel giugno 2007. Essa è la Casa Viva della Gastronomia Italiana; attraverso la ristrutturazione e la riqualificazione del Convento dei Servi (1300) e della Chiesa ivi annessa, che contiene pregevoli opere d’arte, Casa Artusi è stata pensata non solo e non tanto come il luogo di conservazione della memoria artusiana, ma come spazio principe dove gli chef possono compiere i loro stages, le scuole possono presentare i loro corsi di studio e le aziende, siano esse piccole, grandi o di nicchia, fanno conoscere i loro prodotti.

A Casa Artusi c’è anche, come in ogni casa che si rispetti, una grande Biblioteca Gastronomica, che comprende un corposo assortimento di libri, riviste, film e altri documenti multimediali sulla cultura del cibo, con particolare riferimento alla cucina domestica. Per non dimenticare che l’enorme patrimonio gastronomico italiano è custodito nelle famiglie, più che nella ristorazione più o meno di alta classe.
Grazie a Casa Artusi e alla cultura del cibo siamo convinti che a Forlimpopoli, città artusiana, ogni cittadino del mondo potrà sentirsi come a casa propria.
Per i più svariati motivi la Romagna è nel cuore di molti, ma ancora troppo pochi la conoscono in tutte le sue affascinanti particolarità. Infatti ogni itinerario è una scoperta. Una scoperta umana, prima di tutto, ma anche della storia, delle tradizioni e di tutto quello che il paesaggio contiene compresa la gastronomia.
E' questo l'Appennino Forlivese.

Ma a chi sappia veramente cercare, si dischiudono in queste valli preziose tesori davvero unici: le foreste della Lama e di Campigna, gli antichi borghi ricchi di architetture civili e religiose. Accanto agli episodi più celebrati e conosciuti, vi sono gli aspetti e le testimonianze forse ingiustamente ritenute minori che possono far comprendere ed amare le specificità di questo territorio.

Ma è soprattutto la cultura delle gente che vi abita che và colta. Questa terra ha dietro di sé una storia lunghissima che risale al primo apparire dell'uomo della nostra penisola. E' una terra che ha sempre vissuto del costante rapporto tra il mondo adriatico e padano con quello tirrenico e centro-italico. Queste montagne sono state quindi in passato più elementi di unione che separazione favorendo gli incontri tra popoli e scambi culturali. Se è quindi vero che l'Appennino, racchiuso all'interno della Comunità Montana Forlivese, può offrire rilevanti risorse di carattere ambientale e naturalistico, è altrettanto vero che esso trova la sua identità nella tradizione storico culturale che, di fatto, lo si può riscontrare nello stile di vita presente nell'uomo che abita queste valli.

Per approfondire e per i prodotti tipici e le specialità del territorio visitare: http://www.emiliaromagnaturismo.it/it/enogastronomia; http://www.forlimpopolicittartusiana.it/it/




Burson o Uva Longanesi? Scopriamo uno dei grandi vini della Romagna!







Grappoli di Burson L’Uva Longanesi, chiamata Bursona in dialetto romagnolo, è un vitigno autoctono della zona di Ravenna e ad oggi gli ettari vitati sono all’incirca 200. Poche sono le cantine che si dedicano alla coltivazione di questo nobile vitigno, anche se le ultime bottiglie che abbiamo degustato mostrano grande carattere e un potenziale eccellente. Fino a poco tempo fa l’uva Bursona era confusa con il Negretto, ma nel 2000 è stata iscritta al Registro delle Varietà con il nome di Uva Longanesi.
Nella seconda metà dell’800 la Fillossera mise a ferro e fuoco tutti i vigneti dell’Europa, distruggendo la quasi totalità delle piante, tanto che si persero le tracce dell’uva Bursona. Fu soltanto nel 1920 che Aldo Longanesi trovò un vite che non aveva mai vista, abbarbicata ad una vecchia quercia, nel suo podere a Bagnacavallo. Da allora l’Uva Longanesi di strada ne ha fatta e oggi i produttori sono riuniti nel Consorzio Il Bagnacavallo, nato nel 1999 per valorizzare e tutelare questo vitigno autoctono della Romagna. Gli sforzi e l’entusiasmo hanno permesso ai produttori di migliorare le tecniche di vinificazione e con il tempo e il perfezionamento dell’appassimento delle uve, i risultati mostrano bottiglie di elevata qualità, in grado di misurarsi con gli altri grandi vini rossi d’Italia.
L’uva Longanesi è coltivato principalmente nella provincia di Ravenna: Bagnacavallo, Lugo, Russi, Godo, Fusignano e Cotignola. Anche alcuni produttori delle colline di Faenza, Santa Lucia, fanno parte del Consorzio.
Se sentite profumo di amarene sotto spirito e cacao siete sulla buona strada Se osservate un grappolo di uva Longanesi noterete che è compatto, di media grandezza, di forma allungata, ma soprattutto luminoso, opalescente. La buccia infatti è ricoperta da una spessa pruina, cosa che rende subito riconoscibile il vitigno. Il vino Burson che si ottiene dall’Uva Longanesi è intenso, molto ampio e ricco, con aromi fruttati a base di amarene, spezie e cacao in bella evidenza. Al palato offre grande consistenza, corpo e tannini poderosi.
Per rendere il vino ancora più sontuoso e per estrarre il massimo dei sapori, spesso i produttori fanno appassire le uve, in stile Amarone per intenderci.
Abbiamo due tipi di vini. Il Burson Etichetta Blu, che non fa appassimento, ma il processo fermentativo della macerazione carbonica, caratterizzato da freschezza di frutto, note di viole, prugne e pepe in sottofondo. Un vino molto piacevole da abbinare a grigliate di carne,lasagna al fornostracotto di manzognocchi al sugo di castrato.
Filetto alla Chateaubriand e Burson e poi il Burson Etichetta Nera, il vero campione, il vino più pregiato, che proviene da uve fatte appassire e poi messo ad affinare per almeno due anni in fusti di legno. Il risultato è un vino di grande fascino, dal colore rubino tendente al granato. Ricco di note mature, prugne sotto spirito, cioccolato, liquirizia, erbe alpine e una struttura notevole, ma sempre composta ed elegante, con tannini scolpiti dall’affinamento nel rovere. Il Burson Etichetta Nera si abbina a piatti di cacciagionefaraona al tartufopappardelle al ragù di cinghialestinco al forno con patate.
Come servire il Burson: temperatura di servizio e calici
Il Burson è un vino rosso di grande intensità. Servitelo in bicchieri ampi e panciuti per vino rosso, ad un temperatura di 18-20°C.
Per informazioni dettagliate: http://www.consorzioilbagnacavallo.it/

Giuseppe Gaspari , Palato Anarchico

Bagnacavallo nella rete di Comunicare per Esistere

Il Cenacolo Terre di Romagna dell'Associazione l'Altratavola ha deciso di inserire Bagnacavallo
nel percorso di informazione  di Comunicare per Esistere, verso Expo 2015.

BAGNACAVALLO:

Collocata nell’entroterra ravennate, a pochi chilometri dal mare Adriatico e dai primi rilievi dell’Appennino Romagnolo, Bagnacavallo gode di una posizione strategica dalla quale si raggiungono agevolmente il Parco del Delta del Po e le città di Ravenna, Faenza, Bologna, Ferrara.

Città d’arte nel cuore della Romagna, Bagnacavallo è una delle mete turistiche più interessanti del ravennate. Il borgo conserva l’antico nucleo storico costruito su una originale pianta medievale, unica nel territorio romagnolo, con singolare struttura sinuosa, lunghe vie porticate di bell’effetto e un gran numero di palazzi nobiliari ed edifici religiosi. È una città da vivere insieme per scoprire lentamente la sua anima autentica e lasciarsi sedurre dalla accoglienza del territorio. L’ospitalità è impareggiabile, l’amore e il rispetto per la natura un modo di vivere e, l’arte, la cultura e l’enogastronomia sono il grande patrimonio di questa terra.

Tutto l’anno è possibile godere dell’ospitale atmosfera di Bagnacavallo. La città riserva infatti molte sorprese. Tra i monumenti più famosi, la Pieve di San Pietro in Sylvis, una delle meglio conservate in Romagna. Posta fra le tappe sulla Via dei Romei, la Pieve risale al VII secolo e custodisce importanti affreschi trecenteschi di scuola riminese.

L’edificio più caratteristico, quasi unico nel suo genere per originalità ed eleganza è, senza dubbio, Piazza Nuova. Di impianto ovale e porticata, la piazza risale al 1758. Fu costruita come luogo per la vendita di carne, pesce, olio. Recentemente ristrutturata, ospita un’osteria tipica e alcune botteghe artigiane.

Tra i personaggi illustri
 della città, oltre a Tommaso Garzoni, Leo Longanesi, Stefano Pelloni, detto il Passatore, va ricordato Bartolomeo Ramenghi, detto il Bagnacavallo. Dell’artista, la pinacoteca comunale conserva la pala d'altare con la "Madonna col Bambino e i santi Michele, Francesco, Pietro e Giovanni" e lo "Sposalizio mistico di Santa Caterina", mentre nel presbiterio della Collegiata di San Michele Arcangelo si trova la pala d'altare raffigurante "Cristo su trono di nubi coi santi Michele Arcangelo, Giovanni Battista, Bernardino e Pietro Apostolo".

Fra le curiosità del borgo, meritano una visita il Giardino dei Semplici, il Vicolo degli amori e il Gabinetto delle Stampe al Museo Civico delle Cappuccine.

In piazza della Libertà, di fianco al Palazzo comunale, s’incontra il Teatro Goldoni, definito dalla stampa “una Scala in miniatura” per la sua bellezza. Da novembre ad aprile, il suo cartellone spazia dal teatro per ragazzi al grande teatro di prosa, al teatro contemporaneo e di ricerca, dal comico alla musica d’autore, con importanti prime e anteprime nazionali.

Per un pernottamento di “charme”, immerso nella campagna di Bagnacavallo, si consiglia l'Agriturismo Palazzo Baldini. La struttura fa parte di un ricco circuito di residenze gentilizie che in Romagna, nel passato agricolo che caratterizza questo territorio, formavano il cuore del tessuto economico della regione. Dopo un'attenta opera di recupero e ristrutturazione, la dimora è oggi un agriturismo e una struttura di accoglienza di prestigio.


Tutte da godere sono poi le atmosfere cinematografiche del borgo. Una naturale musicalità emana dagli spazi, dai palazzi, dalle chiese, una sorta di predisposizione alla macchina da presa. Per questo, molti registi l’hanno scelto come set, già dal 1962 quando De Sica vi girò La Riffa. Da allora, a Bagnacavallo è stato girato tanto cinema italiano.


Vini, aceti, distillati, saba, miele, carni e dolci sono il paniere de “Il Bagnacavallo”, consorzio nato per la valorizzazione delle tipicità. Il rosso Bursôn, ricavato da un vitigno antico, unico e autoctono, ne è la perla. Ci sono poi i passiti, ideale da accompagnare con le leccornie proposte da forni e pasticcerie, tra settembre e ottobre, tra cui: sugal, dolce di mosto, savòr con mele e pere cotogne, mistochine, piadot e il dolce di San Michele, da una ricetta segreta.


Gli itinerari cicloturistici alla scoperta del territorio sono un vero spasso. L’ampia e fertile pianura è caratterizzata da pievi, oratori, ville padronali, case coloniche, rocche e palazzi nobiliari. Qui, anche l’alternarsi delle stagioni è uno spettacolo, con le opulente fioriture primaverili e il ritorno degli uccelli, le calde sfumature estive, il profumo del mosto in autunno, la nebbia e la bianca brina che d’inverno regalano atmosfere oniriche.


In maggio, il cartellone propone "Alla Corte di Bacco", un viaggio nel buon vivere, delizia i palati dei buongustai. D’estate ci sono gli appuntamenti "Al chiaro di luna", mentre a settembre si tengono l’antichissima "Sagra di San Michele" (dal 1202) e la "Festa delle Erbe Palustri" nella vicina Villanova.


A 1 km dal centro storico, s’incontra il Podere Pantaleone, un’oasi naturalistica di circa sei ettari. Nell’area da tempo incolta, la flora e la fauna tipiche di pianura si sono sviluppate liberamente dando vita ad un habitat di grande interesse ambientale, testimonianza della vecchia campagna romagnola.

A Villanova (7 km), l’Ecomuseo delle Erbe Palustri recupera e conserva un patrimonio tradizionale fatto di incastri, intrecci, trame, torsioni e filature; custodisce oltre 2000 reperti che evidenziano il rapporto tra l’uomo e la valle. Nel suo etnoparco sono ricostruite le principali tipologie di capanni: quello classico romagnolo, il capanno cantina e la cavâna (ricovero per barche) con lo stagno.

Per i prodotti tipici e le specialità del territorio visitare: http://www.emiliaromagnaturismo.it/it/enogastronomia; http://www.consorzioilbagnacavallo.it/




I Borghi europei del gusto 'scoprono' Bellaria Igea Marina - La qualità dell'accoglienza dell'Hotel Letizia della famiglia Onofri



In occasione dell' 8^ Edizione del “Trofeo Memorial Piero Fusconi”, valida quale 2° prova del Campionato Italiano Offshore della classe 3000, e 2^ tappa del Campionato Italiano Endurance Boat Racing e del Trofeo Suzuki FIM Pro , il Cenacolo Terre di Romagna dell'Associazione l'Altratavola ha realizzato alcune visite a Bellaria Igea Marina, per valutare la possibilità di inserire la località nel progetto 'Comunicare per Esistere' promosso dalla rete dei Borghi Europei del Gusto.
Particolarmente apprezzata è stata la 'sosta del gusto' all'Hotel Letizia di Igea Marina.
La presentazione dell'Hotel da parte della famiglia è del tutto congrua : “Scoprite il valore della semplicità e quanto può essere appagante e spensierata una vacanza arricchita dalla cortesia, competenza e qualità che la nostra famiglia si tramanda da tre generazioni. “
Le camere sono pulite, comode, gradevoli, arredate con mobili di qualità.
Ottima la cucina che interpreta il gusto della tradizione romagnola, cucina seguita direttamente dalla Famiglia Onofri.
“Ogni giorno nella nostra sala da pranzo, un mondo di oblò e di pareti blu come il mare, di specchi rifrangono la luce, trovi un gustoso buffet di verdure e contorni – sia caldi che freddi – in più tre primi e tre secondi con pesce tutti i giorni. Cuciniamo per il cliente quello che da sempre amiamo mangiare, anche perché dietro ai fornelli ci sono Daniela e nonna Marisa, i capisaldi del buon gusto della nostra famiglia.In sala Andrea, pronto ad ascoltare tutte le richieste “





Hotel Letizia
via Caio Plinio, 3 - Bellaria Igea Marina, RN 47814
tel +39 0541 331355 - info@hotelletizia.net

Bellaria Igea Marina

Il toponimo di Bellaria compare per la prima volta in un documento del 1359, come nome di una fattoria fortificata che si trovava vicino alla chiesa di Santa Margherita, presso la foce del fiume Uso. La località passò in diverse mani, fra cui quelle dei Malatesta: attualmente ne rimane solamente il ricordo nel toponimo del luogo (e Castèl).
Alla fine del XIX secolo si estendeva sulla sinistra della foce una borgata di case di pescatori, che ricoveravano le proprie barche nel fiume.
Agli inizi del '900 Vittorio Belli diede il nome della dea Igea, figlia di Asclepio ad un villaggio per le vacanze, progettato nella pineta tra il torrente Uso e la "Torre Pedrera". "Marina" fu associato al nome Igea, quando nella zona meridionale si installarono colonie estive per bambini.
Il comune fu istituito nel 1956 per scorporo di cinque frazioni del comune di Rimini: oltre a Bellaria e Igea Marina, Bordonchio, Cagnona e Borgata Vecchia.

Monumenti e luoghi d'interesse

"Casa Rossa" dimora estiva dello scrittore Alfredo Panzini aperta al pubblico e sede dell'"Accademia Panziniana".
"Torre saracena", eretta nel XVII secolo dai pescatori; all'interno ospita una raccolta malacologica e di carta moneta.

Il centro urbano comprende una zona esclusivamente pedonale ("Isola dei Platani"), arricchita di aiuole con vegetazione pregiata, nel centro commerciale di Bellaria.

"Parco del Gelso", vasto polmone verde, intorno all'omonimo lago, raggiunge a sud il centro di Igea Marina.
Parco Pavese, ubicato più a sud, in un'area attigua alla spiaggia libera, sede di feste e manifestazioni.

Lungo il fiume Uso è stata realizzata, in occasione della risistemazione degli argini del fiume, una pista ciclo-pedonale della lunghezza di circa 6 km, che arriva verso l'interno sino a San Mauro Pascoli. Lungo il percorso sono presenti aree attrezzate per la sosta, sistemate e riqualificate in senso ambientale e paesaggistico. Lungo il corso dell'Uso, in prossimità di Bellaria, sono presenti alcuni esemplari di querce e piccoli boschi a prevalenza di pioppi bianchi e neri, di salici e di pini mediterranei, ma si incontrano anche alberi da frutto e piante esotiche. Verso Igea Marina i percorsi attraversano inizialmente fitti canneti per poi proseguire in un paesaggio solcato da canali. La fauna è presente con diverse specie di volatili comuni, ma non è raro incontrare anche l'airone cinerino o il martin pescatore, che nidifica nella zona. Vi si trova anche il rospo smeraldino.

Tra i luoghi di interesse dislocati lungo il percorso sono la "villa Torlonia" e la chiesa di Santa Margherita, del XVIII secolo, l'ex abbazia Donegallia e il castello Benelli entrambi risalenti al XIII secolo, e infine la recente "Fornace di Bellaria".

Eventi

La festa del santo patrono, sant'Apollonia è il 9 febbraio.

Il "Palio dei Saraceni" è una manifestazione storica in costumi d’epoca: vi si rappresenta lo sbarco di oltre trecento personaggi da dieci imbarcazioni storiche sul porto canale (lato Bellaria). Il corteo si snoda quindi lungo le principali vie cittadine, con spettacoli di combattimento delle "compagnie d’armi" e accompagnato da musiche orientali suonate da gruppi di musicisti, fino ad arrivare alla Borgata Vecchia, trasformata in un piccolo paese arabo. La manifestazione si conclude con il "palio del Saraceno", un combattimento su una trave sospesa in aria.
Da più di 25 anni si svolge il Bellaria Film Festival.
Anche a Bellaria Igea Marina (come in tutta la riviera romagnola) in estate si festeggia la Notte rosa.

Alla fine di gennaio 2010, Bellaria - Igea Marina ha partecipato al gioco dei comuni di Mezzogiorno in famiglia.

A cavallo tra aprile e maggio viene organizzato lo Young volley on the beach: un raduno di volley giovanile organizzato dall'A.S. Kiklos che nel 2009 ha visto la partecipazione di 5000 persone.

Pesca

La tradizionale attività peschereccia di Bellaria prosegue tuttora: il porto fluviale, pur migliorato non consente tuttavia l'approdo di imbarcazioni di grandi dimensioni. La pesca occupa circa 100 addetti, riuniti in Società cooperativa denominata Società Cooperativa Marinara - Bellaria; mentre circa 20 addetti non sono legati ad alcuna associazione. Vengono praticate: la pesca a strascico, la pesca delle vongole la pesca da posta con reti a tramagli, la pesca con i "cugulli" o "bertovelli" (per la cattura delle seppie) e con i cestelli (per le lumache di mare). Esiste anche l'allevamento di mitili in mare aperto ad una distanza di circa 3 miglia dalla costa. La maggior parte del prodotto viene oggi commercializzato attraverso la grande distribuzione, ma è recentissima la costruzione del mercato ittico all'ingrosso e se ne attende l'inaugurazione e conseguente apertura.[5]


domenica 6 luglio 2014

L'agriturismo Breg a Brda

L’agriturismo Breg si trova sulle colline nella parte ovest di Brda, vicino al confine con l'Italia e oltre il fiume Idrija, con una splendida vista sulla regione vinicola del Friuli.

Oltre alla gente cordiale e al cibo ben selezionato è possibile godersi l'ambiente incontaminato che ancora non è stato raggiunto dal trambusto della civiltà.

L'offerta dell' agriturismo è vasta:
  • alloggio
Due antichi edifici agricoli sono stati trasformati in due eleganti casette. Le camere portano il nome della frutta tipica di Brda, ciliegie, uva, castagne, mela e fragola. Il mattino sarete svegliati dal belare delle capre che pascolano sotto le case e nelle notti calde d'estate sarete accompagnati nel sonno dal canto dei grilli. In tutte le camere sono state installate delle stufe a legna e dipinto a mano l’arredamento con colori tenui.
  • cucina eccellente
La cucina stagionale tipica di Brda e del Friuli, con accento sulla tradizione di Brda
  • delizie fatte in casa
Frutta fresca, marmellate, vini, miele e prodotti di miele.

Il paese di Dobrovo (Brda-Slovenia)

Il paese di Dobrovo, con poco più di 400 abitanti, è il centro di Brda e la sede del comune. Inoltre è la sede della zona di produzione vinaria di Brda. Ha preso il nome dalla quercia (»dob«), una volta l'albero più diffuso a Brda. Nei pressi del paese sorge maestoso il castello di Dobrovo, in cui vengono esposte la collezione delle grafiche di Zoran Mušič, un pittore famoso in tutto il mondo, e altre collezioni temporanee, insieme a diverse manifestazioni che si svolgono nel Salone dei Cavalieri o nel cortile del castello. Per la storia del castello di Dobrovo sono molto preziose le sale al primo piano rappresentanti la vita della famiglia nobile del tempo, i Baguer, ed una parte dei loro possedimenti originari. Di fronte all'edificio del Comune viene eretto un monumento dedicato ai caduti e alle altre vittime della II Guerra Mondiale. Presso il castello di Dobrovo c'è la scultura del poeta Alojz Gradnik, scolpita nel suo portamento tipico, un lavoro di Jakov Brdar. È interessante la visita alla Cantina Goriška Brda, la più grande cantina cooperativa in Slovenia, fondata nel 1957, nell'ambito della quale si possono degustare ed acquistare degli ottimi vini di Brda. Ogni anno all'inizio di giugno si svolge la tradizionale Festa delle ciliegie. Dal paese, nel quale ci sono la farmacia, l'ambulatorio, la posta, la scuola, la banca ed alcuni negozi, non è difficile raggiungere nessun villaggio a Brda; sia in automobile, motocicletta, bicicletta o a piedi.

La costruzione del castello di Dobrovo, un palazzo di stile rinascimentale, iniziò attorno al 1600. È noto che il castello fu eretto sopra le fondamenta del vecchio castello medievale distrutto e fino ad oggi rimasto inalterato nel suo aspetto esteriore. Il suo muro di cinta fu eretto presumibilmente fra il 1615 e il 1617, durante la II Guerra di Venezia, quando il castello aveva un importante ruolo strategico. È a base quadrata con una torre ad ogni angolo, dalla quale si apre una meravigliosa vista nei suoi dintorni. I primi proprietari del castello e dei poderi intorno furono i Coloredo. Alla fine del XVIII secolo il castello passò alla famiglia de Catterini-Erzberg (di Gorizia). Il suo ultimo e più noto proprietario fu il conte Silverio de Baguer, un diplomatico spagnolo, il segretario della rappresentanza spagnola a Vienna per l'Austria, la Bavaria, Wurtenberg ed Hessen, che nel 1872 si sposò con Cecilia de Caterini-Erzberg, l'ultima discendente della famiglia de Catterini. Così il possedimento finì nelle mani della famiglia de Baguer. Dopo la II Guerra Mondiale il castello ospitava l'amministrazione militare degli alleati, dopo il 1947 divenne la cosidetta proprietà generale del popolo. Dagli anni settanta del secolo scorso appartiene a Goriški muzej (ll Museo del Goriziano), il suo restauro completo è incominciato nel 1979. Il castello viene aperto al pubblico subito dopo l'indipendenza della Slovenia nel 1991.

Formaggio di Bovec


Il rinomato formaggio di Bovec rappresenta un monumento importante alla plurisecolare tradizione dell’attività casearia nell’Alto Isontino e in Slovenia.
Il formaggio di Bovec è prodotto con latte di pecora che contiene il 50% in più di grassi e proteine nelle sostanze secche rispetto al latte vaccino. Viene annoverato tra i formaggi pecorini semigrassi a pasta dura ai quali viene aggiunto anche il 20% di latte vaccino o di capra.
Nel passato il formaggio di Bovec era noto anche come mezzo di pagamento, il cui valore era maggiore di quello degli altri formaggi. Ricopre tuttora un ruolo speciale che gli è stato conferito dalla tutela europea delle tradizioni.
La produzione del formaggio di Bovec si svolge attualmente in numerose fattorie della valle e su tre malghe, dove è possibile anche acquistarlo.
Foto: Samo Vidic

Il Formaggio Tolminc


Un dono di natura intatta e mani destre dei produttori di
formaggio della Valle dell’Isonzo

Gli inizi della produzione casearia
nell’Alto Isonzo coincidono con i
primordi della pastorizia praticata nelle
malghe di montagna nei tempi in cui
l'attività casearia era l'unico modo
per conservare il latte in montagna. I
primi riferimenti al formaggio, come
mezzo di pagamento dei tributi dovuti
ai proprietari fondiari dell'epoca,
risalgono al XIII secolo, mentre il nome
»Formaggio di Tolmino – Tolminski
sir« apparve scritto per la prima
volta nel 1756 in un listino prezzi
dei formaggi nella città di Udine. A
migliorare la sua qualità contribuirono
in maniera rilevante diversi maestri
dell'arte casearia, che verso la fine
del XIX secolo, sotto l'auspicio
dell'Associazione agricola di Gorizia,
venivano nella provincia di Tolmino
a insegnare alla gente del posto le
moderne tecnologie casearie. Tra di
loro va ricordato in particolar modo
lo svizzero Tomaž Hitz. Attraverso i
secoli il formaggio Tolminc ha subito
evoluzione diventando e rimanendo
parte della tradizione e cultura della
popolazione dell’Alto Isonzo. Oggi è
considerato uno dei formaggi sloveni
autoctoni maggiormente conosciuti
e rappresenta fonte importante di
introito di numerosi piccoli caseifici.
The European Agricultural Found for Rural Development – Europe investing in rural area
Fondo Europeo Agricolo per lo Sviluppo Rurale: l’Europa investe nelle zone rurali

CARATTERISTICHE DI TOLMINC
Il Tolminc è un formaggio grasso a pasta dura, che
si può produrre da latte vaccino crudo o termizzato.
La produzione del foraggio, del latte nonché tutti
i processi tecnologici devono svolgersi nella zona
dell’Alto Isonzo.
Principali caratteristiche del formaggio Tolminc
Forma: Rotonda
Dimensioni: Peso: 3,5–5 kg
Diametro: 23–27 cm
Altezza: 8–9 cm
Aspetto esterno: La crosta del formaggio è
liscia, di colore giallo
paglierino.
Sezione: La pasta è morbida, compatta,
di colore giallastro con poca
occhiatura di dimensioni di
una lenticchia o un pisello.
Sapore e odore: L'odore è caratteristico, pulito;
il sapore è dolce-piccante.
Composizione chimica: Contiene almeno il 60 % di
materia secca ed almeno il
45 % di grasso nella materia
secca.
Il Tolminc è oggi
uno dei formaggi
sloveni autoctoni più
riconosciuti.
Soltanto il
formaggio prodotto
in conformità
al Disciplinare
approvato e nel
rispetto di tutte
le norme porta il
nome di Tolminc ed
è contraddistinto
dal segno distintivo
nazionale ed europeo
della denominazione
d'origine protetta.

STAGIONATURA E CONSERVAZIONE
DEL TOLMINC
L'aroma ed il sapore vengono definitivamente a
svilupparsi durante la stagionatura, i cui processi
prendono avvio già nel latte. La stagionatura del
Tolminc può svolgersi anche a temperatura ambiente
e può durare da due a ben dodici mesi. Conservando
il formaggio nel frigorifero, rallentiamo di parecchio o
addirittura fermiamo il processo della stagionatura,
dato importante per il consumatore cui piacciono sapori
più neutri, teneri o lattiginosi del formaggio.
Non esiste una ricetta semplice per la conservazione di
pezzi di formaggio senza comprometterne la qualità.
Si tratta sempre di decidere tra i due fenomeni più
frequenti – l'essiccazione della superficie del formaggio
o lo sviluppo di muffa. La superficie di formaggio
lasciato in frigo senza protezione di regola diventa
secca, quando invece il formaggio viene esposto
all'aria più calda spesso sulla sua superficie si creano
condensazione o piccole gocce d’acqua. Quando la
forma del formaggio viene conservata a temperatura
ambiente sulla superficie si sviluppa la muffa, che è un
fenomeno naturale e non invece il motivo per buttare
via il formaggio. La muffa può semplicemente essere
rimossa dalla crosta con l'acqua tiepida.
Titolare del progetto Formaggio
Tolminc: Comune di Tolmino
Pubblicato da: Centro di sviluppo
della Valle dell’Isonzo
Editore: Comune di Tolmino
Testi: Davorin Koren e mag. Vesna
Erhart

Strugnano con Slovenia Terme


Slovenia Terme Strugnano con Slovenia Terme Slovenia Terme Strugnano con Slovenia Terme
Strugnano: le sue pareti rocciose a strapiombo , la natura incontaminata, i paesaggi caratteristici ; la bellezza di questi luoghi fa di Strugnano un parco regionale protetto. 

Strugnano Terme e Benessere

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In Slovenia Terme puoi fare esperienza di un benessere globale che avvolge il corpo e l'anima. Nei prestigiosi e moderni centri termali puoi ristorare il tuo spirito e rinvigorire la tua energia. Il paesaggio da sogno costituirà un'appropriata cornice alle tue vacanze. 
La Baia di Strugnano (Strunjan in sloveno) dista soli 35 Km da Trieste e ospita una riserva naturale.
La penisola, con diversi chilometri di pareti di arenaria a strapiombo sul mare, con la sua ricchezza subacquea, geologica e faunistica è una vera e proprio oasi naturale.
Qui tra una florida Natura e saline centenarie sorge un eccezionale complesso alberghiero nel quale potrete godere dei migliori trattamenti benessere cullati dal suono delle onde.

 

La Festa del Terrano e Prosciutto a Dutovlie

Ogni estate, da 42 anni il paesino carsico di Dutovlje, che dista soli 15 km da Trieste, fa da cornice alla “Festa del terrano e prosciutto”, che sono due prodotti tipici enogastronomici, con i quali il Carso e la Slovenia in generale si possono sicuramente vantare. Gli inverni miti e i venti, che soffiano sulla natura incontaminata del paesaggio carsico sono due fenomeni naturali, che sono essenziali per la produzione del miglior prosciutto. I produttori aggiungono solo un pizzico di sale, che viene dal mare vicino e in fine gli danno tutto il tempo, che gli serve per maturare. Il terrano poi, è un vino DOC, di colore rubino intenso e dal aroma, che assomiglia a quello dei frutti di bosco. Il vino viene prodotto dalla vite di refosco, che però deve crescere esclusivamente nella terra rossa, che si trova solo in aree ristrette del Carso e che da al terrano un sapore inimitabile. Quindi,  il modo migliore per presentare al pubblico questi due prodotti è quello di fare una festa in loro onore a metà agosto.

Il vino terrano


Oggi sento il giorno di tutti i viventi.
Il campo fiorisce ed il mio cuore,
e la mia anima è di buon umore,
come se avesse bevuto il terrano.

(Oton Župančič)
La patria del vino terrano con la Denominazione Tradizionale Riconosciuta ossia Teran PTP (DTR) in Slovenia e vino Terrano in Italia, è l'altopiano carsico (Carso); che si estende in parte in Slovenia e in parte in Italia, tra il Golfo di Trieste e la Valle del Vipacco, e tra la valle del fiume Isonzo e Brkini.
L’altopiano carsico ha con l’altitudine tra 200 m e 400 m un clima abbastanza rigido, il quale insieme alle rocce carbonatiche e alla terra rossa ricca di silicati e ferro, crea condizioni particolari. Queste formano nel Carso un »terroir« specifico, unico nel mondo per la produzione di vino.
Oggi nel territorio del Carso sloveno sono registrati 590 ha e nel territorio del Carso italiano 400 ha di vigneti. Qui troviamo anche la tradizionale forma di allevamento della vite chiamata “tendone carsico”, l’uso dello quale sta lentamente scomparendo per causa della sua complessità.
I due vitigni raccomandati sull’altopiano carsico in Slovenia sono malvasia e refosco; prevale la varietà refosco, che occupa circa 80 % delle superfici vinicole. Per via delle condizioni geoclimatiche speciali nel Carso produciamo dalla varietà refosco il vino Teran (PTP) ed in Italia il vino Terrano. Teran PTP e Terrano sono specialità tra i vini mondiali.
In Slovenia il Teran è protetto dalla denominazione tradizionale riconosciuta (DTR), che viene regolata dal Regolamento vitivinicolo (in prosieguo Regolamento) con il marchio di una denominazione tradizionale riconosciuta – Teran (Gazzetta Ufficiale nu. 16, 15. 2. 2008). Il vino Teran PTP si produce dall’uva della varietà refosco su superfici vinicole ottimali, che rientrano nel sub-distretto vinifero del Carso ovvero nell’altopiano di Trieste e Komen, che si estende tra la riva sinistra del fiume Vipacco a nord ed il Golfo di Trieste a sud, la pianura del Isonzo a ovest ed Ilirska Bistrica a est. Il suolo che deriva dall’imputridire, e scioglimento di calcare contiene maggiori quantità di scheletro di silice, perciò viene chiamato anche kremenica (silice in sloveno). La quantità di silice contribuisce alla maggiore acidità della terra (chiamata ‘Brz horizont’) e con questo alle condizioni specifiche per la produzione del vino Terrano. La denominazione terra rossa (chiamata anche ‘jerovica’ e ‘jerina’) è dovuta alla frequente colorazione di rosso intenso. Le posizioni vinicole ottimali sono ariose e non si trovano nelle doline carsiche.
L’uva della varietà refosco per il vino Teran PTP si produce secondo le istruzioni per la produzione integrata d’uva e per l’allevamento della vite si usano le forme tendone carsico o allevamento a tralcio rinnovabile.
Secondo la definizione del Regolamento Teran PTP è un vino rosso, secco, calmo, con moderata graduazione alcolica e l’aroma ed il gusto di frutti di bosco. Il colore del vino Teran PTP è intenso, rosso rubino, che può avere riflessi violacei. Teran PTP ha un contenuto significativamente elevato di acido lattico e altri acidi organici, composti polifenolici, e in particolare antociani di colorazione rossa. Il colore rosso intenso e la freschezza di questo vino sono accentuati dall’elevato contenuto di acidi rispetto ad altri vini rossi. Il suo gusto è secco, pieno, con molta freschezza e mineralità.
Grazie al colore rosso intenso e al moderato contenuto di alcol Teran PTP è considerato un vino curativo. Il colore rosso intenso è causato dall’elevata concentrazione di coloranti rossi biologicamente attivi, chiamati antociani. È stato provato che essi aiutano a prevenire le malattie cardiovascolari inibendo l’aterosclerosi, e a ridurre il colesterolo dannoso – lipoproteine a bassa densità (LDL). L’antociani passano addirittura nelle nostre cellule celebrali. Secondo gli studi pubblicati possono giovare il miglioramento delle funzioni celebrali e ritardare lo sviluppo delle malattie neurodegenerative. Hanno inoltre proprietà anti-cancerogene, effetti positivi sulla prevenzione della sindrome metabolica, diabete, e sul funzionamento degli occhi, rafforzando e aumentando la flessibilità delle pareti dei capillari oculari.

sabato 5 luglio 2014

La strada del vino nella Valle della Vipava

La Valle del fiume Vipava è il paese del sole, della bora e del vino. La tradizione della viticoltura risale a tempi molto remoti. Il viandante ad ogni passo può ammirare l'intrecciarsi dei costumi popolari con la vite. La regione vinicola di Vipava comprende 2.000 ettari di vigneti ed è, grazie alla posizione geografica e le condizioni climatiche, una delle più favorevoli della Slovenia.

La gente del luogo da secoli è famosa, in Slovenia ed all'estero, come ottimi vitivinicoltori. I vini qui prodotti furono decantati già da J.V. Valvasor nel suo libro intitolato Gloria del Ducato Carniolano. Qualsiasi località visitiate, dappertutto troverete delle cantine a volta con vecchie botti di quercia, piene di vino nobile. Se volete sentire la presenza e la particolarità dei vigneti della Vipava, dovete assaggiare il Pinela e lo Zelen. Le due varietà sono autoctone, specialità della valle.

Come riconoscere la Strada del vino della Vipava? Seguite i tabelloni marroni, mentre le singole casa espongono anche speciali lastre con i loro nomi. Si raccomanda una prenotazione presso gli offerenti.

Il TIC Vipava, per gi amanti del buon vino, organizza degustazioni commentate presso i singoli vitivinicoltori e fornisce informazioni sull'offerta della campagna della Vipava.


La Valle del Vipacco

La Valle del Vipacco (Vipavska dolina in sloveno e Wippachtal in tedesco) è una valle della Venezia Giulia, che si estende tra la piana di Gorizia e Vitozza, frazione di Divaccia, in territorio sloveno.
Appartiene alla regione geografica italiana. Il centro amministrativo più importante è Aidussina (circa 19.000 abitanti), posta a un'altitudine di 100 m s.l.m., quasi al centro della valle.

Il centro di San Tommaso di Scrilla (Stomaž) nei pressi di Aidussina
La valle, solcata dal Vipacco, affluente dell'Isonzo, è piuttosto ampia e collega la pianura friulana alla Slovenia centrale, tramite la Sella di Resderta (Razdrto Selo) a un'altitudine di 575 m s.l.m..
La Valle è delimitata a nord dal Bosco di Tarnova e a sud dall'altopiano del Carso. Procedendo da est verso ovest, gli affluenti di destra del Vipacco sono il Bela, la cui valle comunica con la Slovenia centrale attraverso il valico di Grusizza Piro (858 m s.l.m.), il Hubelj e il Lokavšček (Aidussina), il Voghersca (Vogršček), che dà luogo all'omonimo lago e il Liaco (Lijak), mentre quelli di sinistra sono il Rio del Macile (Močilnik), il torrente Branizza (Branica) e Vertoibizza (Vrtojbica).
Il territorio può essere suddiviso in cinque microregioni:
  • la Bassa Valle del Vipacco, comprendente la piana di Gorizia;
  • la Media Valle del Vipacco;
  • l'Alta valle del Vipacco;
  • i Colli del Vipacco;
  • la Valle del Branizza.
La regione ha un clima relativamente mite, che la rendono adatta alla coltivazione di diversi tipi di frutta (soprattutto pesche, albicocche, cachi e fichi) e di viti, dalle varietà autoctone Zelen, Pinela e Vitovska Garganja alle note Sauvignon, Chardonnay, Merlot, Barbera e Cabernet.
Nella regione la Bora (Burja) è spira in modo particolarmente intenso intorno ai centri di Aidussina e Vipacco, che sorgono ai piedi dell'altopiano del Monte Nanos.

Storia

Il paese di Rifembergo (Branik), frazione di Nova Gorica
La Valle del Vipacco fu il territorio attraverso il quale gli antichi romani transitarono per la conquista della regione del Danubio, territorio che tra il IV e il VI secolo d.C. fu invaso dai goti, dagli unni e dai longobardi, prima dell'arrivo degli slavi
Tra il 5 e il 6 settembre 394, in prossimità dell'attuale Vipacco fu combattuta una storica battaglia, nota come Battaglia del Frigido (dal nome antico del fiume Hubelj), nella quale si scontrarono l'esercito cristiano guidato da Stilicone e dall'imperatore romano d'Oriente Teodosio I e quello pagano, condotto dall'imperatore romano d'Occidente Flavio Eugenio, nominato imperatore dal generale franco Arbogaste dopo l'uccisione di Valentiniano II. L'episodio, che si concluse con la sconfitta di Eugenio e di Arbogaste fu l'ultimo tentativo di resistenza alla diffusione del Cristianesimo nell'Impero
Nel Mediovo e sotto l'Impero Asburgico, la parte orientale della valle, che comprende i centri di Vipacco e Aidussina, apparteneva al Ducato di Carniola (precisamente alla Carniola Interna), mentre la parte occidentale, più ampia e pianeggiante, era parte della Contea di Gorizia e Gradisca e, quindi, del Litorale austriaco.

Aidussina : la storia

Aidùssina (in sloveno Ajdovščina, in tedesco Haidenschaft, in latino Castra ad Fluvium Frigidum), è un comune della Slovenia occidentale, che conta oltre 19.000 abitanti.

Aidussina prima della II Guerra Mondiale

La località fu abitata fin dalle epoche più antiche. Difatti, nei suoi pressi sorse un castelliere illirico, e più tardi una fortificazione romana denominata Castra ad fluvium frigidum nelle fonti dell'epoca (castra, infatti, significa cittadella fortificata, in latino), a pianta ovoidale e con funzione di caposaldo del vallo di difesa delle Alpi Giulie sulla strada Aquileia - Emona (Lubiana). Sono tuttora visibili qualche resto delle mura e delle torri del castro romano, sul quale sorge gran parte dell'abitato locale.
La parrocchiale di San Giovanni Battista venne eretta nel secolo diciassettesimo. Ha navata unica rettangolare e presbiterio a volte a crociera. L'altare maggiore è opera di Gregorio Lazzarini, mentre i due altari laterali sono dedicati a San Rocco ed al Sacro Cuore. Gli affreschi della volta e due pale sono opera del pittore locale Antonio Celli (Anton Čebej) e sono del secolo XVIII.
La cittadina appartenne al Regno d'Italia, inclusa nella provincia di Gorizia, da dopo la prima guerra mondiale fino al 1947.

Il patrimonio culturale di Brda (Collio sloveno)

Nel corso dei secoli, il patrimonio culturale di Brda si è intrecciato nella maniera in cui risulta visibile oggi: dal paesaggio coltivato, dall'architettura tipica dei villaggi e dei castelli, fino a una serie di curiosità di tipo etnologico che riguardano gli abitanti di Brda, i Brici, ai costumi e alle tradizioni e al inconfondibile linguaggio parlato. Il sigillo del passato ha decisamente lasciato le sue tracce.

Sulle colline di Brda sono in gran parte presenti vigneti e frutteti, e un buon esploratore della natura potrà scoprire molte cose interessanti sulle particolarità geologiche, climatiche, botaniche e altre caratteristiche di questa natura incontaminata.

Le colline di Brda sono cosparse ovunque di villaggi, alcuni compatti come nidi di uccelli, altri distesi lungo gli speroni, ma comunque tutti circondati dal verde, da vigneti e frutteti in mezzo ai quali serpeggiano le strade e i sentieri.



Le perle del patrimonio culturale di Brda si trovano ad ogni passo, e dipende solo da noi che cosa attrarrà la nostra attenzione.

La regione di Brda è un posto ideale per chi si interessa d’architettura: dalle rovine delle case semplici e modeste dei tempi del colonato con i resti degli žbatafur (una cucina con focolare) e dei focolari ai castelli con le torri potenti, i cortili (Dobrovo, Vipolže), ed ai villaggi medievali fortificati (Šmartno). Le case assestate in borghi generalmente serrati alla chiesa, le stradine strette, i balconi in legno, le finestrelle con inferriata e tantissimi altri dettagli caratteristici sono una particolarità di molti villaggi. Anche i muri a secco abilmente costruiti con l’arenaria, una pietra grigio-marrone, caratteristica di Brda. Le perle vere e proprie sono da ammirare nelle chiese; nelle diverse parti degli altari e nell’altro arredamento, in pitture e affreschi interessanti oppure nelle iscrizioni patriottiche dei tempi della II Guerra Mondiale.

Gli appassionati delle curiosità etnologiche saranno attratti dalle caratteristiche del patrimonio dell’attività vinicola, delle cantine vinicole e della frutticoltura, quelli più persistenti invece saranno informati sulle usanze del passato e quelle contemporanee, delle festività, ed inoltre delle caratteristiche, anche un po’ divertenti, del linguaggio parlato a Brda. Una parte del patrimonio culturale sono anche i piatti tipici di Brda, di cui potete godere in diverse parti della zona, particolarmente nel corso delle manifestazioni di tipo etnologico.

000050 CMYKLa regione di Brda è indubbiamente uno dei paesaggi d’Europa più pittoreschi, a cui il passato assai agitato ha lasciato un sigillo particolare, e dove l’immagine della vita tradizionale si è conservata più a lungo che nelle altre parti della Slovenia. I resti dell’architettura medievale, le tracce del colonato e le conseguenze del terremoto del 1976 sono probabilmente solo tre dei fattori che hanno influito e caratterizzato il paese di Brda e la vita dei suoi paesani.

A Brda alcuni castelli risalgono al Medioevo, come anche le chiese bianche e il villaggio pittoresco medievale Šmartno. Il colonato, quel sistema particolare dei rapporti contrattuali tra il padrone e i coloni, è riuscito a conservarsi fino agli anni cinquanta del secolo scorso. La vita della popolazione di Brda è cambiata radicalmente in seguito alle due guerre mondiali; la prima con i profughi, la seconda con il confine, per il quale una gran parte dell’area di Brda è rimasta in Italia. Anche il terremoto del 1976, che ha colpito pesantemente i paesi di Brda, ha scosso completamente tutti i lati della vita degli abitanti. Il vecchio è stato presto sostituito dal nuovo e moderno. I cambiamenti sono stati rapidissimi da tutti i lati, causando dei divari immensi; più di una famiglia aveva prima un trattore anzichè un bagno o una toilette.